Ma i sondaggi hanno ancora senso?
Non sono una scienza perfetta, ma sono il miglior modo che abbiamo per capire cosa sta succedendo.
I sondaggi negli Stati Uniti sono stati nuovamente criticati dopo i risultati delle elezioni perché per la terza volta hanno sottostimato la forza elettorale di Donald Trump. Ma di quanto hanno sbagliato? E ha ancora senso guardare ai sondaggi?
Di quanto hanno sbagliato
I sondaggi alla fine negli Stati Uniti davano una situazione di incertezza totale con Trump avanti in Arizona, Georgia, North Carolina e Nevada e Harris avanti in Michigan e Wisconsin e sostanzialmente un pareggio in Pennsylvania. Alla fine è finita con Trump avanti in tutti gli Stati e anche a livello nazionale.
Quest’anno, come già successo nel 2016 e nel 2020, i sondaggi hanno pesantemente sottovalutato Donald Trump e spesso il risultato reale è stato anche al di fuori del margine di incertezza.
Ogni sondaggio essendo una rilevazione statistica ha infatti un margine di incertezza. Questo vuol dire che il vero risultato nel 95 per cento dei casi dovrebbe cadere dentro questo margine di errore. Se ci basiamo sulla media elaborata da FiveThirtyEight (ma le altre sono simili, tipo quella di Nate Silver o quella del New York Times) vediamo che il risultato reale è stato fuori dal margine di incertezza in Michigan, Nevada e Arizona e appena dentro in Wisconsin, Pennsylvania e North Carolina. Il risultato peggiore è stato però a livello nazionale, dove Trump ha alla fine vinto con 1,5 punti di vantaggio, ma il margine di incertezza andava da +2,7 per Harris a +0,2 per Trump.
Nonostante questi risultati mediocri, i sondaggi quest’anno sono stati comunque accurati, almeno rispetto al passato. L’errore medio, secondo un’analisi di FiveThirtyEight, è stato di 2,2 punti. Si tratta del miglior dato negli ultimi venticinque anni. Nel 2016 e 2020 l’errore medio era stato di 4,7 punti e nel 2012 di 3,2 punti.
Perché bisogna diffidare dei singoli sondaggi
Ci sono poi stati degli errori notevoli, come quello in Iowa, dove Ann Selzer, una delle migliori sondaggiste fino a quest’anno, aveva predetto la vittoria di Kamala Harris di 3 punti, ma in realtà poi ha vinto Donald Trump di 13 punti. Fin da subito era evidente che si trattava di un sondaggio metodologicamente debole, cosa poi confermata da un’analisi dopo le elezioni fatta da Selzer stessa.
Il problema dell’Iowa però è stato anche di reazione. Si è dato troppa importanza a un singolo sondaggio, quando lo stesso giorno era uscito anche una rilevazione di Emerson Polling, un istituto affidabile, che dava Trump a +10. Non sapendo quale fosse quello corretto, si sarebbero dovuti considerare entrambi, mentre si è parlato solo di quello Selzer.
Ovviamente ci sono dei sondaggi più importanti di altri e più affidabili, ma al posto di guardare il singolo sondaggio si dovrebbe sempre considerare la media che aggregando risultati diversi riduce la possibilità di avere forti outlier.
I sondaggi non sono da buttare
Se è vero che Trump è stato sottovalutato, è anche vero che i sondaggi ci hanno sempre detto che l’elezione era incerta e che c’erano diverse criticità per i Democratici. Gli allarmi sul calo di sostegno a Kamala Harris da parte degli afroamericani o degli ispanici o dei maschi giovani arrivavano dai sondaggi. Ed era grazie ai sondaggi che sapevamo che agli elettori quello che interessava era l’economia o l’immigrazione e che su questi temi Harris era debole.
Inoltre, anche se a prima vista potrebbe non sembrare, i sondaggisti quest’anno hanno fatto importanti cambiamenti metodologici per cercare di ridurre l’errore. È realistico assumere che se non fosse stato fatto, l’errore sarebbe stato molto più grande. Una delle principali modifiche è stato pesare i dati per il voto passato, una cosa che in Italia si fa normalmente, ma che negli Stati Uniti era meno accettata (ed è criticata tuttora). Ma gli istituti di sondaggi hanno anche modificato i modi con cui fanno le interviste cercando di dipendere meno da quelle telefoniche che hanno storicamente bassissimi tassi di risposta. E già in passato erano state fatte altre modifiche, come tenere conto del livello di istruzione, per correggere gli errori.
Negli Stati Uniti, a differenza dell’Italia, dopo le elezioni si apre un dibattito su cosa non ha funzionato nei sondaggi. Gli esperti ne parlano già da venti giorni, ma il dibattito proseguirà per mesi su come si possono migliorare le rilevazioni, su quali pesi vanno applicati, su qual è il miglior metodo per intervistare gli elettori.
Nei prossimi mesi arriverà anche un’analisi post mortem sulla performance dei sondaggi nelle elezioni da parte di un comitato dell’American Association of Public Opinion Research, la principale organizzazione che mette insieme i sondaggisti negli Stati Uniti e che si occupa di stabilire gli standard metodologici.
Perché non ci sono vere alternative
Una vera alternativa ai sondaggi non esiste. Qualcuno potrebbe sostenere che si dovrebbe guardare ai mercati delle scommesse, ma è un argomentazione fallace. Chi scommette lo fa sulla base delle proprie sensazioni e dei dati. Basta vedere cosa è successo su Polymarket, uno dei più importanti siti di scommesse, quando è uscito il sondaggio in Iowa. Sebbene tutti considerassero l’Iowa come uno stato non in bilico, le probabilità di vittoria di Trump sono scese dall’85 al 73 per cento. O la probabilità che Trump vincesse il voto popolare nei giorni prima delle elezioni era dato tra il 20 e il 30 per cento. I sondaggi muovono le convinzioni delle persone e influenzano i mercati delle scommesse. Anche l’utilizzo dell’intelligenza artificiale al posto dei sondaggi non ha dato grandi risultati.
I sondaggi non sono una scienza esatta. Alcuni anni vanno meglio, altri peggio. Gli istituti di sondaggi cercano di correggere i metodi di rilevazione riuscendoci a volte e altre no. Ma ad oggi non c’è un’alternativa ai sondaggi. L’unica alternativa sarebbe rinunciare sapere che cosa sta succedendo nelle intenzioni di voto e affidarsi alle sensazioni. Non una buona idea.
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